venerdì 11 luglio 2014

22 luglio - Estate Romana 2014 ai Giardini di Castel Sant'Angelo con Dario Amadei

Martedì 22 Luglio ore 21.30 per l'Estate Romana 2014 saremo ai Giardini di Castel Sant'Angelo (Area Palco, v.le Ceccarelli, lato via della Conciliazione) con la bibliolettura interattiva di "Piccole storie di sette giorni" (Graphofeel Edizioni)
Con Dario Amadei sarà presente l'autrice, Laura Bonelli
Intermezzo musicale Baldi Borozan Duo, chitarra e voce

martedì 8 luglio 2014

Let it Lok: Sogno di una notte di mezza estate

Ci sono alcune giornate che ci appaiono interminabili. Lunghe, lunghissime, infinite giornate affannose. Quando l’unico momento che attendiamo è gettarci sul nostro caro letto, spegnere la luce, chiudere gli occhi e dire momentaneamente addio al mondo. Spegnere la mente e trovare un po’ di pace, in un porto sicuro. Mettere da parte tutto e tutti, e immergerci a capofitto nei tortuosi meandri del proprio inconscio, lasciandoci cullare dall’intangibile fascino della notte. E sognare magari. Perché i sogni non sono altro che l’essenza della libertà, della beatitudine. Un momento di tangibile felicità, dopo ore ed ore di monotono tran-tran quotidiano. Attimi in cui persino l’inimmaginabile è possibile, accade; e tutto è semplicemente come noi desidereremmo che fosse.
Talvolta però, taluni sogni sono tutt’altro che estasi. Spesso pare che i fantasmi che ci perseguitano da svegli, non ci diano tregua mai, neanche nella notte. Sudiamo. Imprechiamo. Soffochiamo. Urliamo. Semplicemente non abbiamo pace. Bé, per me non si tratta di sogni. Piuttosto mi piace chiamarli incubi.
Questa notte ho vissuto una delle esperienze oniriche più coinvolgenti di sempre. E mi piacerebbe condividerla con voi, per mostrarmi come, persino l’incubo più terrificante, può trasformarsi nel sogno più incantevole.
“Sono le 10 di sera. Mi sveglio confusa e palpitante. È tardissimo. Sono in partenza per non so quale meta, e come sempre accade prima di un avvenimento rilevante, sono in super ritardo. Devo ancora sistemare i bagagli, trovare i documenti, fare una doccia, vestirmi, prepararmi. È una corsa contro il tempo. Tutti i miei abiti sono scomparsi dall’armadio. Impazzisco per casa alla ricerca dei miei effetti personali, ma niente di niente. Per di più mi sento intrappolata dalla pesantezza del sonno: gli occhi non vogliono restare aperti, le mie gambe sono stremate, la mia testa cade di qua e di là, in cerca di riposo. E il tutto non fa che rallentarmi. Una dannata corsa verso l’impossibile.
Esco di casa, con indosso soltanto il mio pigiamino. Sono scalza. E in mano ho un biglietto aereo, ma non riesco a leggere la destinazione. Cerco disperatamente un aeroporto o qualcosa del genere. Sono sola, disperata e persa nelle tenebre. Brancolo nel buio alla ricerca di una salvezza, lottando contro la pesantezza del dormiveglia. Di tanto in tanto in lontananza scorgo qualche figura evanescente, ma la mia voce sembra insonora. Grido, urlo, mi dimeno, ma nessuno mi dà ascolto. E ogni volta che riesco a raggiungere una di quelle presenze, questa si dissolve nel nulla. Corro. Corro. E ancora corro, in preda al panico più totale. Una maratona verso il nulla. Inciampo. Cado. Sembro quasi arrendermi e lasciarmi andare alla forza di gravità. Ma no. Mi rialzo. E continuo a correre. Sudo. Corro. Il mio cuore sta impazzendo. Urlo grida di silenzio. I piedi scalzi, sono sudici e insanguinati. Ma ancora corro. Fino a quando cado, di nuovo. (E se fino a quel momento fossi stata convinta di assaggiare il puro terrore, allora non saprei come definire ciò che mi sta per accadere). Vorrei rimettermi in sesto, ma non ce la faccio. Una misteriosa forza, più oscura e travolgente di quella di gravità mi trattiene al suolo. Mi sussurra che quello è il mio immodificabile destino. La fine della maratona. La mia fine. Vorrei reagire, ma i miei arti sono pesantissimi, e immobili. Come incatenati da qualcosa di invisibile. E ancora più straziante, vorrei gridare, ma la voce non fuoriesce. Ogni urlo soffocato ritorna giù come un amaro magone. È come se le mie labbra fossero incollate tra di loro. Continuo ad agitarmi. Tento di scalciare, di tirare pugni, ma ogni tentativo si rivela mera illusione. Sono intrappolata. Condannata. Non mi resta che accettare la mia condizione, chiudere gli occhi e smettere di sperare. Smettere di respirare. Perché ogni respiro equivale ad un struggente istante in più della tortura.
La resa però non è nel mio stile. Correrò la maratona fino al traguardo. Ricomincio a dimenarmi. Ci deve essere una soluzione. Per forza. Tutte le maratone hanno una linea di traguardo. Esattamente nell’istante in cui ogni sforzo mi era sembrato completamente vano, noto che riesco a sentire un filo di voce. Si, si, lentamente la mia voce sta riacquisendo il suo vigore. Un barlume di speranza. Non finisce qui, non per me. Gli arti però sono ancora bloccati. Mi sento tirare in quattro direzioni divergenti. Ma non mi arrendo. Combatto per svincolarmi, voltandomi a destra prima, a manca poi; come per scrollarmi di dosso quella forza oscura. Sudo. Grido. Impazzisco. E ancora grido. Sudo. Piango. Tremo. Sanguino. Grido per la disperazione. Per il dolore. O semplicemente perché sono ammattita. Ma non mi arrendo. E proprio quando sento di essere arrivata all’extremis, quando sto per gettare la spugna e cedere la mia anima alle tenebre; quando credo di non avere più alcuna ragione in nome della quale combattere; quando tutto è vano, e niente è stimolo, proprio allora affiora una forza misteriosa. Con tutta la mia energia residua, proietto il mio corpo verso destra e cado. Precipito. Sempre più in basso. E il solo poter muovere liberamente gli arti, mi da sollievo. Un incredibile gustosa soddisfazione. Un gesto così spontaneo, e naturale assume per me l’entità di un miracolo. E perdendomi nelle mie riflessioni, mi sveglio in un luogo totalmente diverso. Cammino sulla sabbia calda, sicura di me, vittoriosa, imponente come una grossa nave. Certa di aver tagliato il traguardo. Mi guardo attorno e percepisco di ritrovarmi in un paradiso terrestre. Il sole sta sorgendo. Il mare, cristallino, è calmissimo. Di qua e di là svolazza qualche gabbiano. È così bello udire finalmente i dolci suoni della natura.
La certezza di ritrovarmi in una sorta di locus amoenus, mi giunge quando scorgo lui ad attendermi tranquillamente seduto su uno scoglio. L’imperturbabile lui.
Corro a più non posso, ansiosa di gettarmi tra le sue braccia. Ed eccolo, finalmente a pochi millimetri da me. In quel preciso attimo ogni sforzo assume significato, ogni struggente lotta trova il suo conforto, il suo dolce ristoro. Mi abbraccia forte, e quell’abbraccio mi ridona la vita. Mi perdo nell’infinito dei suoi occhi verdi, che luccicano sotto la tenue luce del primo sole. Mi stringe più forte, inspira l’odore della mia pelle, e mi sussurra: “Finalmente! Tutta per me!”
Ci prendiamo per mano, e ci tuffiamo nell’immenso azzurro per vivere insieme il nostro sogno.”
Fine.
Filomena "Lok" Locantore

giovedì 3 luglio 2014

Biblioteche a rischio di estinzione

Sicuramente, la figura del bibliotecario, così com'è nell'immaginario comune, rischia l'estinzione.
Oggi la biblioteca deve saper offrire servizi che vanno oltre il prestito di documenti. Chiunque può cercarsi un titolo su SBN, sui MetaOpac e può richiedere da casa un prestito. Quindi perché tenere in piedi una biblioteca?
Il bibliotecario deve scendere dal piedistallo e avere un rapporto diretto con l'utente, aiutandolo anche in ricerche che vanno oltre i titoli di documenti. 
Il reference deve coprire ogni campo e rispondere anche a domande comuni e di normale quotidianità.
A noi concorsisti hanno fatto studiare la biblioteca virtuale che va oltre le mura fisiche. Hanno chiesto le linee guida IFLA per l'alfabetizzazione informatica degli utenti, diritto amministrativo, pratiche manageriali, fund raising…
E allora? Perché lasciarci marcire per anni nel limbo? Non è il caso di dare un senso a quello che ci hanno fatto studiare?
Se la situazione non cambia, sono d'accordo, i bibliotecari rischiano l'estinzione e le biblioteche si ridurranno a luoghi dove i ragazzi universitari si ritrovano per studiare senza fare prestiti, senza partecipare alle attività culturali, pronti ad abbandonarle al termine di ogni esame.
Sì, la biblioteca ha anche questo ruolo sociale, ma non deve essere l'unico.

Alessandra Benedetti

mercoledì 2 luglio 2014

Voci di quartiere

Lettera di un bambino di Monteverde alla sua mamma di Alfredo Tagliavia

Cara mamma,
oggi non portarmi al centro estivo, per favore, non portarmi in mezzo alla baraonda degli altri bambini, delle cose da fare, quando entro in quegli stanzoni non ci capisco più niente dal chiasso, so che devo partecipare, fare come tutti gli altri a tutti i costi, cantare, ballare, fare lavoretti con la carta e i gomitoli di lana, poi metterci tutti in fila, correre, giocare a ruba-bandiera, poi fare ricreazione, e allora lì diventiamo tutti nervosi, io incomincio a dire parolacce, prendere calci da chi ne dà, darne anche qualcuno a chi so io, mi sento sommerso, arrivo a fine giornata stanchissimo, ho solo una gran confusione in testa, tanta agitazione e tanta voglia di tornare a casa.
E per favore, cara mamma, da settembre non iscrivermi più al rugby, da grande non voglio diventare un giocatore, non sono nemmeno così grosso, quando gioco sento tutti gli altri bambini più alti e grossi di me che mi vengono addosso, qualche volta cado e mi faccio anche male, ma non lo dico, continuo, perché bisogna sempre continuare, non essere vigliacchi, non fermarsi, ce lo dice anche l’allenatore, ma certe volte invece ho paura e piango prima di andare a rugby, non vorrei proprio entrare in campo, vorrei solo fermarmi, mettermi in un angoletto e guardare la partita da spettatore, rimanendo vicino alle panchine…

Cara mamma,
per favore, il prossimo anno non portarmi più neanche a musica, sono stufo di imparare note e brani con il violino che mi hai comprato, esercitare le dita e la memoria a casa, tutto per avere un forte applauso tuo e di papà a Natale, e un altro ancor più forte da tutti i genitori degli alunni della scuola di musica al saggio di fine anno. Non mi interessano gli applausi, a volte mi dici che devo essere meglio degli altri, vieni alla lezione collettiva di musica e dopo mi dici che ho suonato meglio di quello, peggio di quell’altro, ma io, cara mamma, non voglio essere meglio o peggio di nessuno, non sono un violinista, sono solo un bambino.
E sai che ti dico, mamma cara, da settembre lasciamo stare anche i brevetti del nuoto, te lo chiedo per favore. L’allenatore è molto severo, a volte ci prende di sorpresa, ci butta in acqua senza preavviso, gli altri ridono ma io ho paura di affogare, e quando dobbiamo fare le gare ci fa lavorare durissimo, certe volte ci mette uno contro l’altro per vedere chi va più veloce, dice che la velocità è tutto nella vita, che se impariamo ad impegnarci e ad essere veloci ci troveremo bene ovunque, forse avrà anche ragione, forse sarà anche così, ma perché?
Non ce la faccio, cara mamma, non ce la faccio più ad alzarmi la mattina alle sette, fare otto ore di scuola, uscire fuori alle quattro del pomeriggio, poi ogni santo giorno andare a fare un’attività diversa, una volta a settimana violino, due volte al rugby, altre due volte a nuoto, più le partite della domenica e le gare per prendere i brevetti. Il sabato e la domenica mi piacerebbe chiamare i miei amichetti, andare al parco e giocare, senza pensare a chi è più bravo o a chi ha fatto più cose, giocare e basta, ma spesso sono troppo stanco, non ho energie per fare niente, i muscoli mi fanno male e passo il fine settimana davanti alla televisione o alla play station, senza nemmeno vedere il sole (a pensarci bene non lo vedo quasi mai il sole)…

Cara mamma,
per favore, oggi non portarmi al centro estivo, lo so, devi andare a lavorare, papà non c’è mai a casa, certi giorni non ci sei mai neanche tu, mi lasci ore ed ore con la babysitter, ma solo per oggi, non potresti fare un’eccezione? Guarda, è una bella giornata assolata di fine giugno, tira anche un vento stranamente fresco, c’è qualche nuvola di passaggio in cielo, si capisce che andrà via presto, mettiamoci qua, su questo prato davanti alla scuola di musica, tu puoi sederti su questa panchina, io nel frattempo comincio a correre, stavolta come dico io però, c’è l’erba alta come piace a me, anche due altalene là in fondo, mamma cara, non ti arrabbiare se te lo dico, ho sognato tutto l’anno di venire via dalla lezione di violino, così all’improvviso, senza neanche avvisare il maestro, mettermi qui davanti, in mezzo a questo prato brullo, staccare i fili d’erba senza motivo, gridare senza motivo, correre per tutta l’ora senza motivo, da solo, senza meta né direzione, in circolo, proprio come sto facendo adesso, e guardami mamma, proprio ora, in questo preciso istante, sono quel puntino bianco e rosso che ballonzola davanti a te, in mezzo alle spighe e alle canne e alle margherite, mi riconosci?, guardami bene negli occhi e dimmi se non sono felice.

Alfredo Tagliavia